Come affronto la morte di un ospite

Qualche giorno fa sulla mia pagina Instagram mi è stato chiesto come affronto personalmente la morte di un ospite.

Ho pensato quindi di affrontare l’argomento riportando 3 episodi che mi hanno segnata particolarmente.

Ricordo ancora la prima ospite per cui ho pianto, si chiamava Laura. 

Ero lì solo da qualche mese, eppure c’era qualcosa in quella signora che mi aveva colpito particolarmente. Non so perché, ma in lei rivedevo la mia nonna paterna defunta da poco e in pochissimo tempo mi sono affezionata a lei

Mi sono legata così tanto che quando le sue condizioni si sono aggravate ed è finita in ospedale ho deciso che sarei andata ogni sera ad aiutarla a mangiare e a scambiare due parole, e così feci finché lei restò in vita.  

L’ultima volta che ho pianto per un ospite invece è stato qualche mese fa, quando è mancato Saverio. 

Avreste dovuto conoscerlo, un vero personaggio. Non parlava, ma quando il corridoio si riempiva di musica capivamo che era arrivato lui, con la sua radio sempre accesa. 

Saverio era il tipo che se ti incontrava alle macchinette ti voleva offrire il caffè a tutti i costi, era quello che se scendeva era solo per andare fuori a fumare o farsi una partita a carte, mica perdeva tempo con le attività lui! 

La sua è stata una morte che ci ha colti tutti di sorpresa, apparentemente stava bene, e invece…ecco quando capita così ti senti anche un po’ in colpa perché non ti sei accorta che forse nel suo sguardo c’era qualcosa che non andava, che forse l’essere un po’ più pallido del solito non era un semplice malanno di stagione, ma soprattutto ti dispiace di non avere avuto il tempo di dargli un ultimo saluto. 

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E poi c’è stata quella volta che non sono riuscita ad affrontare la morte come avrei dovuto, ma mi sono lasciata andare accompagnando una nostra ospite nel dolore per la perdita di una sua cara amica. 

Adesso, a ripensarci, mi viene un po’ da sorridere: ero andata lì per consolarla e dopo pochissimo la stavo abbracciando, piangendo insieme a lei. 

Sono partita con i migliori presupposti, ho cercato di accogliere il suo dolore, ma sapevo dentro di me che non sarebbe stato giusto minimizzare la perdita (parliamo di due persone che hanno vissuto la loro vita insieme e sono diventate l’una la famiglia dell’altra). Le ho detto che poteva piangere, sfogarsi e tirare fuori tutto il dolore che aveva, ma non ho retto di fronte a tanto sconforto e sono crollata anche io

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Prima di iniziare questo lavoro pensavo che lavorando in RSA mi sarei abituata alla morte, che sarei diventata in un certo senso “insensibile” al dolore del lutto. Adesso vi posso assicurare che non è così: non ci si abitua mai, e a parer mio è un bene. 

É stato difficile per me scrivere questo post perché non amo mostrare le mie fragilità, ma l’ho fatto perché penso che nel nostro lavoro sia importante avere un certo tipo di sensibilità.

Non abbiate paura di mostrarlo. 

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