Sono anni ormai che non lavoro più con i giovani, ma ho lavorato con preadolescenti e adolescenti per molto tempo e mi sono laureata nel periodo di in cui in Italia stavano iniziando a spopolare queste challenge (2018-2019) scrivendo la tesi triennale proprio su questo argomento. Alla luce dell’ennesimo caso di cronaca in cui un bambino ha perso la vita in un incidente, probabilmente causato da una challenge, vorrei sottolineare che il problema di per sé non sono i social network, ma la mancanza di un’educazione al loro utilizzo. Vi spiego meglio perché.
Analizzando la questione da un punto di vista psicologico, nella mia dissertazione ho voluto indagare l’impatto di un utilizzo scorretto dei social network sullo sviluppo dell’adolescente, soffermandomi in particolar modo sul fenomeno delle challenge .
Ciò che è emerso è che non è raro da parte dei giovani sviluppare vere e proprie forme di dipendenza da queste piattaforme che, oltre ad offrire occasioni di socializzazioni e varie forme di intrattenimento, offrono a loro momenti di popolarità, approvazione da parte dei coetanei e diventano delle vere e proprie vetrine in cui mettersi in mostra e dar sfogo a comportamenti a rischio e deliri di onnipotenza, tipici di questa fase.
Questi meccanismi possono portare i giovani a non riuscire più a distinguere la vita reale da quella virtuale. É proprio questo ciò che capita quando ci si spinge ad affrontare delle sfide mortali, o potenzialmente tali. La persona, completamente immersa nel mondo virtuale, non riesce più a proiettare se stessa nella vita reale, l’unica cosa che conta è ciò che accade online, bisogna soddisfare i follower, bisogna monetizzare e per fare più visualizzazioni bisogna spingersi sempre più in là.
Viene spontaneo pensare che la migliore soluzione possa essere proibire l’utilizzo dei social sotto una certa età, se non fosse che il limite di età finora è stato spesso raggirato impostando una data fittizia. Il fatto è che il problema di per sé non sono i Social Network, perché possono anche rivelarsi validi strumenti educativi. Il problema è la mancanza di un’adeguata educazione al loro utilizzo.
Non nego sia necessaria una maggiore regolamentazione, ma allo stesso tempo i giovani (e gli adulti) devono essere educati ad utilizzo più consapevole di queste piattaforme.
Bisogna acquisire maggiore consapevolezza sui rischi connessi all’utilizzo delle piattaforme social, dai problemi legati alla privacy alle forme di dipendenza e di dismorfia digitale, ed è necessario che tutta la comunità educante sappia riconoscere quei campanelli d’allarme che possono ricondurre ad una possibile forma di dipendenza dai social onde evitare che il giovane perda totalmente il controllo rischiando di mettere in pericolo sé e gli altri.
Il problema quindi non sono le piattaforme di social networking, ma la mancanza di educazione al loro utilizzo. Oltre ad un maggior controllo dei social, necessario ma non esaustivo, andrebbero creati dei veri e propri percorsi di media education all’interno delle scuole e nei vari contesti educativi, formando prima di tutto gli insegnanti, i genitori e tutti coloro che si occupano dell’educazione dei giovani.
DISCLAIMER: questo articolo è frutto di una attenta analisi e rielaborazione di alcuni testi e studi scientifici. Se vuoi maggiori informazioni sulle fonti o vuoi approfondire l’argomento ti lascio qui il link alla mia tesi di laurea triennale.